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Schema ABI e nullità delle fideiussioni “a valle”: la pronuncia delle Sezioni Unite

  1. Il presente focus si propone di analizzare brevemente la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 41994 del 30 dicembre 2021 che, in materia di fideiussioni bancarie cd. omnibus redatte secondo lo Schema ABI, si è espressa a Sezioni Unite.

La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae origine dalla conclusione di un contratto di conto corrente e di finanziamento tra la società Albatel I.C.T. solutions S.p.A. e San Paolo Imi S.p.A.

A garanzia dell’adempimento degli obblighi assunti dal finanziato, uno dei soci della società Albatel aveva sottoscritto due contratti di fideiussione c.d. omnibus. A seguito della risoluzione del rapporto con il debitore principale, l’istituto di credito aveva depositato ricorso per decreto ingiuntivo avverso il fideiussore, a cui faceva seguito l’opposizione da parte di quest’ultimo. Il procedimento monitorio, però, veniva sospeso in quanto il garante aveva contestualmente avviato un giudizio presso la Corte d’Appello di Roma[1] al fine di far dichiarare la nullità dei citati contratti di fideiussione per violazione di norma imperativa e, in particolare, del disposto di cui all’art. 2 co. 2 lett. a) della L. 287/1990. In particolare, la questione verteva sulla circostanza per cui il negozio di garanzia conteneva tre clausole (la clausola di “reviviscenza”, la clausola di “sopravvivenza” e quella di deroga alla decadenza ex art. 1957 c.c., infra descritte) che avrebbero potuto falsare la libera concorrenza, finendo per addossare sul fideiussore le conseguenze negative di un illecito comportamento assunto dalla banca.

La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 3746/2016: dichiarava la nullità delle clausole nn. 2, 6 e 8 dei contratti di fideiussione ritenute, per l’appunto, in violazione delle disposizioni di cui all’art. 2 co. 2 lett. a) della L. 287/1990; respingeva l’istanza di risarcimento del danno patrimoniale, ma accoglieva quella di risarcimento del danno non patrimoniale e, da ultimo, ordinava la cancellazione del nominativo dell’attore dalla Centrale Rischi.

Avverso la pronuncia, resa in un unico grado di giudizio dalla Corte d’Appello di Roma, Italfondiario S.p.A., in qualità di procuratore di Intesa San Paolo S.p.A., proponeva ricorso in Cassazione a cui il garante resisteva con controricorso e memoria.

 

  1. Con l’obiettivo di risolvere il contrasto giurisprudenziale in ordine alle sorti delle fideiussioni che riproducono le clausole del contratto tipo redatto secondo lo Schema predisposto dall’ABI, già giudicato contrario alle regole della concorrenza antitrust, giacché frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso la causa alle Sezioni Unite.

 

Preliminarmente, occorre precisare che:

 

  • nel 2002, l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) ha predisposto uno schema negoziale che gli istituti ad essa associati hanno utilizzato per la redazione dei contratti di fideiussione c.d. omnibus a garanzia di operazioni bancarie. Tale schema è stato sottoposto al giudizio di Banca d’Italia la quale nel 2005[2], dopo aver consultato anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha disposto che le clausole nn. 2, 6 e 8 ivi contenute fossero in contrasto con l’art. 2, co. 2, lett. a), della L. n. 287/90.

Più nello specifico, le tre clausole censurate sono:

  • la «clausola della reviviscenza», a norma della quale il fideiussore è tenuto a «rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi o per qualsiasi altro motivo»;
  • la «clausola di rinuncia ai termini ex 1957 cod. civ.», secondo la quale «i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a tale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ.»;
  • la «clausola di sopravvivenza», in virtù della quale «qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate»;

 

  • che la disposizione di cui all’art. 2, co. 2, lett. a), della L. n. 278/90[3], vieta di costituire intese tra imprese che abbiano ad oggetto e per effetto di impedire, limitare, o falsare la concorrenza all’interno del mercato nazionale. Si intende per tale via realizzare un bilanciamento tra la libertà di concorrenza e la tutela dei soggetti del mercato, in modo particolare dei consumatori. Tali intese, pertanto, sono nulle e, del pari, sono nulli gli effetti che esse producono;

 

  • in giurisprudenza, in ordine alle conseguenze derivanti dalla stipulazione di contratti di fideiussione aventi tali caratteristiche, sono sorti tre orientamenti. Secondo il primo indirizzo, il negozio sarebbe integralmente nullo[4]; altra tesi considera, invece, l’accordo di garanzia soggetto a nullità parziale[5]. Infine, v’è chi ritiene che la riferibilità in tali contratti alle clausole sopramenzionate vada sanzionata sotto il profilo esclusivamente risarcitorio[6].

 

  1. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aderito alla tesi che individua nella fattispecie in esame un’ipotesi di nullità parziale ex art. 1419 cod. civ. e, pertanto, circoscritta alle clausole precipuamente individuate nel «provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (nn. 2, 6 e 8) che, peraltro, ha espressamente fatto salve le altre clausole».

Come è noto, la ratio sottesa alla disposizione di cui all’art. 1419 cod. civ. è di «conservare, in quanto possibile, gli atti di autonomia negoziale». Da qui, l’esigenza di dover fornire la prova dell’interdipendenza tra la clausola nulla e la restante parte dell’accordo, atteso che l’invalidità della prima non si estende automaticamente all’intero negozio. Ne deriva, inoltre, l’impossibilità per il giudice di rilevare d’ufficio tale estensione, essendo quest’ultimo legittimato a rilevare eventualmente la sola nullità parziale (anche qualora sia stata eccepita esclusivamente la nullità integrale del contratto).

In altri termini, occorrerà valutare nel caso concreto, fornendo adeguati elementi probatori, se le clausole nulle siano essenziali o meno per i contraenti i quali, dunque, non avrebbero concluso il contratto in assenza delle stesse. Di contro, ad avviso della Suprema Corte, in mancanza di tale prova, le fideiussioni sono pienamente valide ed efficaci, sebbene private delle summenzionate clausole riproduttive dello schema negoziale predisposto da ABI.

In conclusione, può dirsi che ad avviso della Corte di Cassazione a Sezioni Unite: «i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a) della legge n. 287/1990 e dell’art 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, ossia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti».

 

  1. La pronuncia in parola è molto recente, ciononostante il Tribunale di Milano ha già applicato il principio di diritto ivi enunciato.

Con sentenza del 19 gennaio 2022, detto Tribunale, infatti, si è espresso con riferimento ad un contratto di fideiussione c.d. omnibus nel quale erano contenute le clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema negoziale predisposto dall’ABI. In tale occasione, il giudice, prendendo le mosse dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, ha altresì chiarito come dal momento che il contratto di fideiussione sottoposto al suo vaglio era stato sottoscritto il 21 dicembre del 2010, il provvedimento della Banca d’Italia non avesse valore di prova privilegiata. Difatti, «il provvedimento anzidetto non costituisce prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza con riguardo alla fideiussione in parola stipulata in un periodo rispetto al quale nessuna indagine risulta essere stata svolta dall’autorità di vigilanza, la cui istruttoria ha – com’è noto – coperto un arco temporale compreso tra il 2002 ed il maggio 2005». Nel caso di specie, la parte attrice non aveva dimostrato tuttavia gli elementi costitutivi dell’intesa vietata (ex art. 2 della L. n. 287/1990).

In altri termini, ad avviso del Tribunale di Milano, nel caso in cui la fideiussione fosse stipulata in un periodo successivo al provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005, la parte che volesse far accertare la nullità delle clausole illecite dovrebbe comunque allegare alla propria richiesta tutti gli elementi costitutivi della fattispecie d’illecito concorrenziale dedotto in giudizio.

 

 

 

[1] Ex art. 33 della L. 10 ottobre 1990 n. 287,

[2] BdI, provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005.

[3]Art. 2 della L. n. 287/1990: «Intese restrittive della libertà di concorrenza. 1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. 2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi. 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto»..

[4]Cfr., per tutte, Cassazione civile sez. III, 21/01/2010, n. 993.

[5]Cfr., per tutte, Cassazione civile sez. II, 10/11/2014, n. 23950.

[6]Cfr., per tutte, Cassazione civile sez. III, 11/06/2003, n. 9384.

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