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Le garanzie rilasciate dal Fondo PMI e da SACE s.p.a.

Com’è noto, il Decreto n. 23 dell’8 aprile 2020 (c.d. Decreto “Liquidità”) ha abrogato l’art. 49 del Decreto n. 18 del 17 marzo 2020, n. 27 (c.d. Decreto “Cura Italia”) così come convertito in legge del 24 aprile 2020, n. 27 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 110 del 29 aprile 2020 “Cura Italia”). Detta disposizione è stata, dunque, sostituita dall’art. 13 del Decreto “Liquidità” il quale prevede specifiche misure di supporto offerto alle PMI da parte del Fondo centrale di garanzia PMI (art. 2, c. 100, lett. a) della legge 662/1996), estendendole fino al 31 dicembre 2020. Sotto altro profilo, per alcune tipologie di imprese, il menzionato Decreto “Liquidità” dispone che SACE s.p.a. può concedere fino al 31 dicembre 2020, garanzie in favore di banche che concedono finanziamenti, sotto qualsiasi forma, alle imprese.

 

Siamo in presenza di un quadro disciplinare che ha il chiaro obiettivo di far fronte alla contingente situazione di carenza di liquidità a cui le imprese andranno incontro a seguito delle misure restrittive adottate per limitare la diffusione del Covid-19. Sicché, gli interventi di sostegno finanziario attuati dal governo prevedono che detta finalità possa essere perseguita previa concessione di prestiti a condizioni particolarmente vantaggiose a favore di imprese in possesso di specifici requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla normativa.

 

Non è questa la sede per soffermarsi su alcuni profili problematici che sono sorti con riguardo alle modalità operative mediante le quali le risorse vengono erogate alle impese dalle banche; donde le specifiche difficoltà connesse alle verifiche formali da queste ultime svolte nella fase di valutazione preliminare dei requisiti in presenza dei quali autorizzare la concessione del prestito. Si intende, piuttosto, fornire qualche spunto di riflessione con riguardo all’eventualità che, in futuro, nell’ipotesi di escussione della garanzia, il credito vantato dal Fondo PMI e da SACE s.p.a., in qualità di surroganti, nei confronti dell’impresa debitrice si configuri come privilegiato.

 

Sul punto, occorre far riferimento al d.lgs. 31 marzo 1998 n. 123 che, come è stato osservato dalla giurisprudenza[1], identifica la disciplina di riferimento in materia di interventi pubblici alle imprese. In particolare, il disposto di cui all’art. 1, comma 1 di detto decreto legislativo chiarisce che esso «regola i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive, ivi compresi gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni e i benefici di qualsiasi genere (…) concessi da amministrazioni pubbliche, anche attraverso soggetti terzi».

 

Per quanto di nostro interesse, assume specifica rilevanza il disposto di cui all’art. 9 del richiamato decreto legislativo secondo il quale «in caso di assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare» presentata dal beneficiario del sostegno, «il soggetto competente provvede alla revoca degli interventi» (comma 1); in tal caso, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, «i crediti nascenti dai finanziamenti erogati (…) sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante». Se ne deduce, dunque, che, ai sensi della richiamata normativa, nell’ipotesi in cui l’imprenditore abbia avuto accesso alle misure di sostegno finanziario senza tuttavia averne i requisiti, la conseguente revoca del beneficio trasformerebbe il credito del surrogante in credito privilegiato.

 

Va da sé che il decreto legislativo in parola potrebbe trovare applicazione anche in riferimento all’ipotesi in cui gli enti beneficiari delle misure di sostegno previste dal recente Decreto “Liquidità” avessero abusivamente avuto accesso ad esse attraverso ad esempio il rilascio di autodichiarazioni non veritiere o errate. In tal caso, dunque, alla revoca dei benefici ex art. 9 del d.lgs. 123 del 1998 conseguirebbe la nascita di un credito vantato da SACE s.p.a. nei confronti dell’impresa debitrice che, ai sensi della richiamata normativa, diverrebbe privilegiato e prevarrebbe su ogni altro diritto di prelazione.

 

Sotto altro profilo, va, altresì, osservato che analogo privilegio è riconosciuto espressamente al Fondo di garanzia per le PMI ai sensi dell’art. 8-bis del Decreto Legge 3/2015, convertito con modificazioni in Legge 33/2015, il cui comma 3 dispone che «il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, numero 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante (…)». Pertanto, nell’ipotesi in cui fosse escussa la garanzia a causa dell’inadempimento del debitore garantito, il Fondo, subentrato nei diritti della banca, potrà giovarsi della natura privilegiata del credito.

 

Appaiono, tuttavia, evidenti le differenze esistenti tra le due fattispecie in esame, in quanto nell’ipotesi di cui all’art. 9 del d.lgs. 123/1998 il credito diverrà privilegiato se il sostegno finanziario, erroneamente concesso, venga successivamente revocato, laddove, nel caso di cui all’art. 8-bis della legge 33/2015, il diritto alla restituzione (che sorge in seguito all’escussione della garanzia prestata dal Fondo PMI) è di per sé privilegiato.

 

Sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, appaiono significative le considerazioni espresse in una recente sentenza della Corte di Cassazione n. 2264 del 30 gennaio 2019 con riferimento a due convenzioni stipulate nel luglio 2005 da SACE s.p.a. nell’ambito della sua attività istituzionale, rispettivamente con Banca Intesa e con Banco Popolare (all’epoca Banco Popolare di Verona e Novara). In tale occasione, la Corte ha evidenziato come l’intervento di sostegno pubblico offerto mediante l’utilizzo di garanzia rilasciata da SACE s.p.a. «sembra proporre, per qualità, una tipologia di rischio imprenditoriale non diversa da quella propriamente portata dalla concessione dei mutui o comunque dalle erogazioni dirette di somme all’impresa beneficiaria (…) con obbligo di restituzione delle somme medesime». Se ne deduce che l’espressione “finanziamenti” di cui all’art. 9, comma 5, D.Lgs. 123/98 ricomprende al suo interno sia le operazioni di erogazione diretta di denaro quanto quelle che prevedono la concessione di garanzie. Inoltre, ad avviso della richiamata Corte, l’amministrazione, nel revocare il beneficio già accordato non compie alcuna valutazione discrezionale; in particolare essa «si limita (…) ad accertare il venir meno di un presupposto già previsto in modo puntuale dalla legge, senza che l’atto di revoca abbia a possedere una qualche valenza costitutiva»[2].

 

Siamo in presenza, dunque, di un orientamento giurisprudenziale le cui conclusioni appaiono condurre verso una generale applicazione del privilegio introdotto dall’art. 9 del d.lgs. n. 123 del 1998. Al contempo, come si è detto, esso sembra allentare la connessione che lega tale privilegio con il credito restitutorio conseguente alla revoca della misura di sostegno pubblico abusivamente concessa all’impresa che non ne aveva i requisiti; infatti, come ha evidenziato la dottrina, la revoca non sembra più finalizzata a sanzionare un abuso dell’impresa sovvenzionata, essendo ridotta ad una mera «manifestazione formale della volontà di ottenere il “rientro”, quali che siano poi gli strumenti allo scopo utilizzati verso il debitore»[3].

 

In conclusione, può dirsi che il riconoscimento della natura privilegiata del credito vantato da SACE s.p.a. e dal Fondo di garanzia PMI (nell’ipotesi di surroga nei diritti del creditore soddisfatto) nei confronti delle imprese beneficiarie delle agevolazioni previste dal Decreto “Liquidità”, dovrebbe costituire elemento di riflessione in sede legislativa. Viene, in particolare, in rilievo la peculiarità del credito privilegiato di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 123 del 1998 il quale, come ha altresì evidenziato la Corte di Cassazione nella sopracitata sentenza, è opponibile alla massa creditoria anche se la revoca è intervenuta dopo la pubblicazione della sentenza di fallimento dell’impresa beneficiaria. Sarebbe, peraltro, opportuno che in sede legislativa fossero previste specifiche esenzioni da responsabilità penale per l’ipotesi in cui le imprese in tensione finanziaria a causa dell’attuale situazione emergenziale, avendo fatto ricorso alle misure di sostegno di cui trattasi, abbiano aggravato la propria situazione patrimoniale, sì da essere successivamente dichiarate fallite.

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